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NOTE II 231

Sparisce l’alessandrino, e parla il poeta eterno, che dai lidi incantati della Sicilia intona al mondo gli ultimi grandi canti della poesia greca.

II

LA FATTURA

Per testimonianza degli antichi commentatori di Teocrito, questa fattura toglieva molti colori da un mimo di Sofrone. Dai frammenti, pur brevissimi, pervenuti sino a noi (Kaibel, Fragm. Com. Graec., pag. 154), sembrerebbe che però Teocrito derivasse assai liberamente: piú assai liberamente che non Virgilio da lui. Gli spigolatori di fonti ricordano poi che nelle Coglitrici di radici di Sofocle, si vedeva Medea cogliere erbe magiche. Ma, per la verità, il frammento di Sofocle, conservato da Macrobio, non ha proprio nulla a che vedere con l’idillio di Teocrito E Teocrito non appare, né qui né altrove, imitatore. E, ad ogni modo, suo e schiettamente suo, è lo spirito che anima questo soggetto: fosse pure, già ai suoi tempi, antichissimo.

La scena è chiara, e non ha bisogno di commento. Sembrerebbe che, secondo la concezione del poeta, si svolgesse in Còo; e, come appare dal contesto, in vista del mare. Ma sono particolari di poco rilievo: in questo idillio, l’interesse non è nello sfondo, nella scena; bensí nella pittura dell’azione — il sortilegio — e nei personaggi.

Sul sortilegio, c’è poco da spiegare: vi troviamo i soliti ingredienti di tutti i sortilegi letterari. Solo c’è da chiarire il particolare della torquilla. Questo uccelletto serviva per gl’incantesimi d’amore. Si legava per le due ali e le due zampe ad una ruota a quattro raggi, si faceva girare la ruota, e si argomentava dai movimenti e dalle grida della povera bestia. Medea, a quanto