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XXVIII PREFAZIONE

è intagliato da poco, ed esala ancora l’odore del legno tagliato di fresco. E quando poi glie lo porge, insiste:

Eccoti il calice, amico: non senti che dolce fragranza?
Non lo diresti emerso dai puri lavacri dell’ore?

E sia ricordato, infine, il prodigioso esametro delle «Talisie»

Tutto d’Estate opulento fragrava, fragrava d’Autunno.

E talune espressioni sembrano il riflesso di una discreta ghiottoneria. Dice il capraro del primo idillio:

A te di miele, o Tirsi, la bocca leggiadra si colmi, si colmi
a te di favi: del fico soave d’Egílo
possa nutrirti.

E il pastore della serenata:

Questo al cuor tuo sarà piú dolce che all’ugola il miele.

E spesso e volentieri, infine, è ricordata la morbidezza dei giacigli.

Se presso me verrai, qui pelli di pecore e lane
calpesterai, piú soavi del sonno.

Ed alto il mio giaciglio sarà d’un buon cubito, colmo
di pulicaria sarà, d’asfodèlo, di sedano crespo.

                                                  E qui giunti,
sovra profondi letti giacemmo di morbidi giunchi,
godemmo sopra tralci di vite di fresco recisi.