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PPREFAZIONE XXVII

pide, in Aristofane, aveva dati luminosi accenni. Qui erompe in piena libertà. Dopo tanti freni, è una vera orgia di campagna.

E pochi poeti ebbero mai una sensibilità cosi’ pronta ad ogni vibrazione dell’universo.

Sensibilità visiva. Sainte-Beuve, a proposito delle «Talisie», pronuncia il nome di Rubens, che di fatti s’impone. Il carattere delle pitture teocritee è appunto l’opulenza. In ciò Teocrito si avvicina ad Ibico, quanto si allontana, per esempio, da Saffo.

Ma accanto a questa tavolozza di colori schietti e vivaci, ne ha poi un’altra di mezze tinte e di velature: quella d’«Ila» e dell’«Epitalamio d’Elena». Alessandrina, certo; ma nessun altro alessandrino seppe adoperarla mai con tanto gusto.

E sensibilità uditiva, anche più acuta. Si ricordi il principio della «Morte di Dafni»:

Questo susurro è soave, pastore, e quel pino che canta
presso le fonti.

Come esce alla campagna, la sua prima impressione è, dunque, acustica. E tutti i suoi paesaggi suonano poi continuamente di mille e mille rumori: i belati degli agnelli, il muggito dei buoi, il frinire delle cicale, lo stridere delle raganelle, il canto delle lodole, il gemito delle tortore, il ronzio delle api, lo stormire dei pini dei pioppi e degli ontani, il tintinnio delle gocce cadenti entro uno specchio d’acque.

E sensibilità olfattiva. Il vin di Biblo che il povero Eschine spilla per i suoi ospiti (L’amor di Cinisca) è

                                                  odoroso
come se lí per lí fosse uscito dal tino.

il vello che Licida porta su le spalle è odoroso tuttora di caglio recente (VII). Il vaso che il capraro promette a Tirsi (I),