E dunque, dimmi prima, ché certo sapere io lo possa,
O eroe, se stato io sono sagace indovino, o dappoco,
se tu sei proprio quello che disse quell’uomo, l’Achèo
d’Elice, quando l’udimmo, se bene t’ho riconosciuto.
E dimmi come tu l’orribile belva uccidesti,
e come capitò di Nemèa nell’irrigua contrada:
giacché tu non potresti vedere un tal mostro, per quanto
tu lo bramassi, nell’Asia; ché simili fiere non nutre
l’Asia, ma orsi, cinghiali, progenie di lupi feroci.
Perciò, gran meraviglia facevano, udendo il racconto;
e alcuni poi dicevan che quel viatore mentiva,
per ingraziarsi, con vane fandonie, chi stava ad udirlo».
Poi ch’ebbe detto cosí, di mezzo alla strada Filèo
deviò, tanto, che andare potesse con Ercole a pari,
e facilmente udirne potesse cosí le parole.
Ed Ercole parlò cosí, poi che l’ebbe vicino:
«Quello che prima tu m’hai chiesto, figliuolo d’Augèa,
argomentato da te l’hai bene, ed a filo di squadra.
Punto per punto, ciò che riguarda l’orribile fiera,
adesso io dir ti voglio, giacché tu desideri udirlo,
tranne di dove giunse: ché questo, nessun degli Achei,
sebbene sono tanti, potrebbe narrarlo di certo.
Solo congetturiamo che l’abbia qualcuno dei Numi
sui Foronèi mandata, per cruccio d’offerte neglette:
perché, di fiume al pari che i campi sommerga, il leone
tutte le genti struggea senza tregua; e, piú ch’altri, i Bembini,
insopportabili mali piangevano, ch’eran piú presso.
Ed Euristèo m’impose primissimo tale cimento,
e m’ordinò ch’io dovessi dar morte all’orribile fiera.
E dunque, presi l’arco flessibile, il cavo turcasso
pieno di frecce, e mossi: stringevo nell’altra una clava,
tronco massiccio, con tutta la scorza, con tutto il midollo,
d’un oleastro fronzuto, che un dí, sotto il santo Elicona,