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174 TEOCRITO

e salirà presso Giove, lasciando la spoglia in Trachíne,
genero detto sarà dei Numi, che questi dragoni
spinsero dalle spelonche, perché divorassero il bimbo.
E verrà giorno che il lupo, trovando nel covo un cerbiatto,
stringere non vorrà, per sbranarlo, i terribili denti.
Ma ora, o donna, sotto la cenere il fuoco sia pronto,
e preparate legna di giuggiolo secco o ginestra,
O di perúggine o rovo risecco, sbattuto dal vento,
e su le loro schegge selvagge bruciate i serpenti,
a mezzanotte, quando essi cercaron d’ucciderti il bimbo.
Ed al mattino un’ancella, dal fuoco la cenere tolta,
il fiume varchi, ed oltre la porti, e in burroni scoscesi
tutta la gitti, fuori dei vostri confini; e poi torni
senza rivolgere il capo. La casa indi pura si renda,
prima con solfo schietto; metteteci poscia del sale,
com’è costume; e un ramo cingete di bende, e spruzzate
limpida linfa; e a Giove sgozzate un porcello di latte.
E sempre allora avrete trionfo dei vostri nemici».

Cosí disse; e respinto da sé lo sgabello d’avorio,
partí, sebbene grave per gli anni suoi molti, Tiresia.
E crebbe Ercole, come ne l’orto una pianta novella,
presso la madre; e fu detto figliuol d’Anfitríone argivo.
E suo maestro fu, ne le lettere sperto lo rese
Lino vegliardo, l’eroe senza sonno, figliuolo d’Apollo.
A tender l’arco, al segno lanciare lontano lo strale,
Èurito, d’ampie terre, dai padri redate, opulento.
L’ammaestrò nel canto, gli apprese a comporre le mani
sopra la lira di bosso Eumòlpo figliuol di Filammo.
E quanti modi sanno gli Argivi dall’agili cluni,
d’abbatter con l’intreccio dei piedi l’un l’altro a la lotta,
quanti i pugilatori, pei cesti terribili, e quanti,
1 pancraziasti, quando si gittano al suolo rovesci,