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IDILLIO XXII 159



INNO PER CASTORE


I due figli di Giove traevano dunque, rapite,
di Leücippo le due figliuole: a inseguirli veloci
moveano i due fratelli figliuoli del sire Afarèo,
Ida gagliardo, e Lincèo, promessi e vicini alle nozze.
Quando alla tomba presso fûr giunti del morto Afarèo,
scesero giú dai cocchi, balzarono gli uni su gli altri,
delle zagaglie gravi, dei concavi scudi. E Lincèo
parlò, di sotto all’elmo lanciando la voce possente:
«O sciagurati, perché bramate la pugna? E feroci
per l’altrui donne, ignude nel pugno stringete le spade?
Ai nostri doni queste sue figlie promise Leucippo:
fûr prima assai per noi che per voi, queste nozze giurate.
Bello non par che voi, pei talami ch’erano d’altri,
con muli, con giovenchi, con altri molteplici doni,
quell’uomo corrompiate, prediate coi doni le nozze.
E ben sapete ch’io, piú volte, d’entrambi al cospetto,
tanto, sebbene io non sia di molte parole, vi dissi:
— Amici cari, cosa non è che agli onesti convenga,
voler le spose avere per cui son già pronti gli sposi.
È grande Sparta, è grande l’Arcadia nutrice di greggi,
l’Èlide è grande anch’essa, che nutre corsieri, e Micene,
le rocche degli Achei, di Sísifo tutta la spiaggia.
Crescono qui, pensiero dei lor genitori, fanciulle
innumerevoli, e menda non hanno di membra o di senno.