àmico
Io servo tuo, tu mio sarai detto, se vincerti io posso.
polluce
S’azzuffano a tai norme gli augelli di cresta vermiglia.
àmico
Sia che possiamo augelli sembrare, o sembrare leoni,
per questo premio a zuffa venire dovrem, non per altri.
Disse. E alla bocca una cava conchiglia portò, trasse un mugghio
Àmico. Ed a quel soffio, dei platani all’ombra, veloci
corsero i Bèbrici tutti, che mai non si radon le chiome.
Càstore si spiccò similmente, l’eroe prode in guerra,
e dalla nave magnesia chiamò tutti quanti i guerrieri.
E i due, rese ben dure le pugna con guigge di bove,
raccolte le coregge d’intorno alle solide braccia,
l’un contro l’altro, morte spirando, si fecer nel mezzo.
E qui, mentre moveano, fu grande lo sforzo d’entrambi,
chi sopra il dorso ricever dovesse la luce del sole;
e assai, Polluce, tu superasti in destrezza il rivale:
il sol tutto coi raggi percosse d’Àmico il volto.
Avanti si lanciò questi, dunque, con l’animo in furia,
ed avventò le pugna; ma il figlio di Tíndaro, al sommo
del mento lo colpí, mentr’egli avanzava. Piú fiero
quei si riscosse, e, a terra chinando la testa, tremendo
sopra gli fu. Grida alte levarono i Bèbrici; e cuore
gli eroi, dall’altra parte, faceano al gagliardo Polluce,
temendo che quell’uomo, che Tizio pareva, dovesse
in quell’angusto spazio domarlo, schiacciarlo col peso.