Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Cantiam di Leda e Giove, signore dell’ègida, i figli,
Càstore, ed il tremendo nel pugile gioco Pollúce
che ne le grandi guigge di cuoio costringe le mani:
i due maschi rampolli cantiamo due volte e tre volte
della figliuola di Testi, cantiamo i gemelli di Sparta,
patroni ai giovinetti che imberbe tuttora hanno il mento,
ed ai cavalli, quando si sbandan fra mischie cruente,
ed alle navi, quando ribelli al presago spuntare
e tramontar degli astri, s’imbattono in fiere procelle.
E i venti un alto flutto sollevan di sotto alla poppa,
o van sotto la prora, van dove ciascuno piú brama,
e ne la cala s’avventano, e spezzano entrambe le coste.
E tutte quante vedi sull’albero e gómene e vele
pendere a caso, squarciate: dal cielo, calando la notte,
fitta la pioggia cade, i flutti rimbombano a furia,
percossi dagli spiri del vento, e da grandine fitta.
Ma, tuttavia, dall’abisso del mar voi traete le navi
coi naviganti, quando credean già sicura la morte.
Súbito allora i venti si placano, è molle bonaccia