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142 | TEOCRITO |
Ditemi voi, pastori, placate il cuor mio: non son bello?
o d’improvviso m’ha qualche Nume cangiato in un altro?
Fioriva or or soave calugine a me su le gote,
come ellera sul tronco, nutriva la folta mia barba;
scendeva a me come apio la chioma d’intorno alle tempie,
sotto le negre ciglia bianchissimo il volto brillava,
molto piú fulgidi gli occhi di quelli cerulei d’Atena,
della giuncata le membra piú tenere, piú dalla bocca
la voce a me soave fluiva che il miel dalla cera.
Su la zampogna io so modular fioriture soavi,
suonare, vuoi chiarino, vuoi piffero, o flauto traverso.
E tutte quante, pei monti, le donne mi dicono bello,
mi bacian tutte quante. Ma quella, perché cittadina,
non m’ha baciato, me bifolco. È scappata. — E non sai
che Bacco anch’egli suole sospingere al piano le manze?
Per un bovaro non sai che Cípride perse la testa,
e anch’essa pascolò pei monti di Frigia i giovenchi,
che pei querceti Adone baciò, pei querceti lo pianse?
Endimïone, chi era? Non era un bifolco? E Selene
lo amò, mentre egli i buoi pasceva: discese d’Olimpo,
venne di furto allo speco, dormí col diletto fanciullo.
Piangi un bovaro anche tu, Demètra. E tu, figlio di Crono,
per un fanciullo bovaro non ti tramutasti in augello?
Euníce sola non ha voluto baciare il bifolco:
ella si tiene piú su di Selene, di Cipri e di Rea.
Cípride, l’amor suo baciare in città mai non possa,
né per i monti; sola dormir possa tutta la notte.