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132 TEOCRITO

Contro ti svolazzò, quando a Sparta giungesti, o beato
sposo, con gli altri eroi, Fortuna, sicché la spuntassi.
Solo fra i Seminumi, tu Giove per suocero avrai.

Sotto la coltre stessa con te vien la figlia di Giove,
ch’or muove i pie’, da sola, sovressa la terra d’Acaia.
Gran cosa la tua prole sarà, se la madre somiglia.
Noi, sue compagne d’età, che unte, come uomini, d’olio,
correr con lei solevamo lunghessi i lavacri d’Eurota,
noi, quattro volte sessanta fanciulle, virginëa schiera,
niuna è di biasimo immune, se ad Elena mai si raffronti.

Fulge il bel viso, come si leva, d’Aurora: Selène
splende la notte: brilla, se il Verno fuggí, Primavera:
tali fra noi le grazie rifulgono d’Elena d’oro.
È d’ornamento al campo la biada che cresce; al giardino
l’alto cipresso; al cocchio, cavallo che vien di Tessaglia:
Elena, viso di rose, cosí Lacedèmone adorna.

Dal panïere mai niuna femmina ad opra piú bella
dedusse i fili, né sul telaio intessé con la spola,
tagliò dai lunghi staggi piú ricca, piú fitta la tela,
né alcuna sa cosí le càlcole batter, cantando
Artèmide fanciulla. Minerva inventrice de l’arti,
come Elena, a cui tutti negli occhi fan nido gli amori.

Bella fanciulla, cara fanciulla, sei giunta alla casa.
Alla prim’alba, noi, con le roride foglie del prato
intrecceremo ghirlande per te, di soave fragranza,
Elena, sempre a te penseremo noi vergini, come
agnelli ancor lattonzi, che bramano il sen della madre.