Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/172


IDILLIO XVII 127

Anche agli Atrídi, resta la fama: gl’innumeri beni
ch’essi predarono, quando col ferro distrussero Troia,
giacciono sotto la terra, colà donde mai non si torna.

Solo costui fra quanti già vissero, e quanti tuttora
vivono, e l’orme loro pur calde la polvere serba,
alla sua madre, al padre fondò santuari fragranti,
fece l’effigie loro scolpir nell’avorio e nell’oro,
ché protettori fossero a tutti i mortali benigni.
E brucian molte cosce, volgendosi i mesi opportuni,
di pingui bovi, sopra gli altari vermigli di sangue,
egli e la prode sua consorte, di cui non esiste
donna che del consorte piú tenera s’offra all’amplesso:
ch’essa lo sposo e il fratello dilige dall’imo del cuore.
Anche le nozze cosí fûr compiute dei Numi immortali
cui generava Rea, Signori possenti d’Olimpo;
ed un giaciglio solo per Giove e per Era distende
Iride, vergine ancora, con mani che olezzan d’unguenti.

Re Tolomeo, salute! Te render vo’ celebre al pari
degli altri Seminumi. Dai posteri questo mio canto
spregiato non sarà: chiedo a Giove ch’eterno lo renda.