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IDILLIO XVII 125

Argía, pupilla azzurra, commista a Tidèo, Dïomede
sterminatore, eroe di Calídone, a luce tu desti:
Tètide, l’altoprecinta, al figlio d’Eàco Pelèo,
Achille die’, maestro di lancia; ed al pro’ Tolomèo
te generava, pro’ Tolomeo, Berenice la bella.
E ti cresceva Coo, mentre eri ancor tenero infante,
che da tua madre, quando vedesti la luce, pria t’ebbe:
ché qui, nell’aspre doglie, la figlia d’Antígone, ad alte
grida, chiamò la Dea che i parti facilita, Ilizia;
ed essa a lei vicina benevola stette, e disciolse
d’ogni dolor le membra. E un pargolo amabile nacque,
simile al padre. Coo, vedendolo, un grido di gioia
alto levò, le braccia levò sopra il bambolo, e disse:
«Felice, o bimbo, sii! Tanto onore a me render tu possa
quanto ne rese a Delo dal velo cerulëo Febo;
e nello stesso onore comprendi anche il divo Triòpo:
onor comparti a lui, come ai Dori che presso gli sono:
ché Febo anch’egli amò cosí l’isoletta Renèa».
Cosí l’isola disse. Tre volte dall’alto il suo grido
l’aquila, uccello grande, propizio, dai nuvoli emise.
Di Giove è questo il segno: ché a Giove figliuolo di Crono
sono diletti i re venerandi; ed eccelle su gli altri
chi predilesse dal dí che nacque: gli accorda potenza
molta, son grandi i suoi domini di terra e di mare.

Genti infinite, tribú d’infiniti mortali, nei campi
gittano il seme nei solchi, lo crescon le piogge di Giove;
ma niuna terra è quanto la bassa d’Egitto ferace,
quando straripa il Nilo, ne stempera l’umide zolle.
Sorgono tre centurie, per lui, di città popolose,
e poi tre volte mille, e poi diecimila tre volte
e poi, due triadi ancora, e poi conta il nove tre volte,
ed è di tutte quante signor Tolomèo valoroso.