e d’Èrcole, che fe’ dei Centauri sterminio, di fronte
si leva il seggio, tutto costrutto nel rigido acciaro.
Quivi con gli altri Uràni beati si gode al banchetto,
e pei nepoti dei suoi nepoti gli giubila il cuore,
cui dalle membra tolse vecchiezza il figliuolo di Crono.
Poi ch’è progenitore d’entrambi l’Eràclide prode,
ed ambi Ercole al sommo rammentan di loro progenie.
Perciò, quando già sazio di nèttare aulente, l’Alcíde
lascia il banchetto, e alla stanza s’avvia della sposa diletta,
ad uno l’arco dà, la farètra, che quei sotto il braccio
pone, la clava all’altro, di ferro, tutta aspra di nodi.
D’Ebe cosí dal bianco mallèolo al talamo ambrosio
l’armi, e lo stesso figlio barbuto conducon di Giove.
E poi, come prevalse fra tutte le donne assennate
l’inclita Berenice, gran vanto dei suoi genitori!
La Diva a cui die’ vita Dïona, che Cipro tutela,
a lei plasmò, con mani mollissime, il seno odoroso:
perciò nessuna mai delle femmine piacque al suo sposo
dicono, come amò Tolomeo la diletta consorte.
Ed essa molto piú l’amava. E sicuro ai suoi figli
allora un uomo può trasmettere tutta la casa,
quando egli entra amoroso nel letto di sposa che l’ama;
ma d’una donna disamorata la mente è distratta:
facili i parti; ma i figli non nascono simili al padre.
O veneranda Afrodite, piú bella di tutte le Dive,
a te cara fu quella. Per tua volontà, Berenice
bella, non valicò d’Acheronte la triste riviera;
ma la rapisti, prima che presso la cerula nave
ella giungesse, presso l’esoso nocchiere dei morti;
e nel tuo tempio, a te compagna d’onor la volesti.
E spira adesso, mite per gli uomini tutti, soavi
amori; e miti fa le pene d’amore a chi brama.