IL CANTO DEL LAVORO
Dèmetra, tu che moltiplichi i pomi e le spiche, provvedi
che questo grano sia ben mietuto, e che renda buon frutto.
Lavoratori, i mannelli stringete, ché alcuno non dica:
«Gente di pasta frolla! Quanti altri quattrini buttati!»
Il taglio del covone di Zefiro al soffio esponete,
oppur del Tramontano: ché allora s’impinguano i chicchi.
Di mezzogiorno il sonno fuggite, se il grano battete:
ché proprio allor la pula si stacca piú presto dal grano.
Comincia a mieter quando si sveglia la lodola in cielo,
smetti quando s’addorme: riposa ne l’ore piú calde.
Vita beata il ranocchio, bimbi miei! Non deve angustiarsi
di chi gli mesca bere: n’ha lí, sin che vuole, nel botro.
Capoccia, quelle lenti le avresti a far cuocere meglio.
Quando spartisci il finocchio, fa’ piano, ti tagli le mani! —
Deve cantare cosí, chi al solco travaglia, o bifolco.
La tua canzone invece, d’amore, da morto di fame,
valla a cantare al letto di mamma che a brúzzolo s’alza.