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XII PREFAZIONE

Vero è che il fàscino del passato prodigioso lo tiene continuamente avvolto nelle sue spire, tanto che tutta la sua opera rimane pur sempre stretta, aderente al mito; e che la sua ultima tragedia, il suo capolavoro, Le Baccanti, è come un grande atto di contrizione confessionale ed artistica1. Ma non meno vero che le nuove tendenze della sua opera rimangono come un vasto programma abbozzato ed offerto al futuro.

E dopo Euripide, tutti gli artisti, d’ogni arte, con una specie di divisione del lavoro, riprendono questo programma, e lo svolgono, con estensione naturalmente maggiore, con ritmo infinitamente piú lento. Sicché, giunti al secolo IV, o, piú precisamente, a cavallo fra il IV e il III, ci troviamo in un mondo artistico perfettamente antipodo al mondo classico: l’alessandrino.

La temperie generale ne è stata oramai studiata, come già dissi, egregiamente. Ma non mi pare che sia stato messo nella debita luce un fatto secondo me di somma importanza. Che, cioè, i riflessi del gran movimento spirituale iniziatosi nel secolo V, sono assai differenti nel campo delle arti figurate e in quello della poesia.

Il carattere essenziale di questo movimento fu, dicemmo, critico. La sua principale aspirazione fu un desiderio appassionato di vedere le cose nella loro realtà piú concreta. E questa aspirazione, che nelle scienze produce lo sperimentalismo, nella filosofia l’analitica, nella storia la ricerca individuale, biografica, nelle arti figurate si risolve in realismo.

L’arte non considera piú gl’individui come elementi onde estrarre un tipo, bensí li apprezza e li studia in sé, per il loro

  1. Vedi la prefazione alla mia versione delle Baccanti d’Euripide, e il mio Teatro greco», pag. 208.