Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
60 | TEOCRITO |
E tanti e tanti a noi sul capo agitavan le foglie
pioppi ed ontani, a noi vicino, la sacra fontana
dall’antro delle Ninfe cadeva con garrule stille.
E le cicale bruciate dal sole, fra l’ombre dei rami,
senza riposo mai, friníano: strideva lontano
la raganella, fra intrichi spinosi di rovi: cardelli
e lodolette cantavan, gemeva la tortora, fulve
presso a le fonti sorgive volavano in giro le pecchie.
Tutto d’Estate opulento fragrava, fragrava d’Autunno.
Pere dinanzi ai piedi, da un lato e da l’altro, in gran copia
ci ruzzolavano mele, piegavano giú sino a terra,
tutte gravate di frutti, le rame del prugno selvaggio.
Poi da la bocca d’un tin di quattro anni fu tolta la cera.
Ninfe Castalie, che avete dimora sul sommo Parnaso,
forse che un vino tale ne l’antro roccioso di Folo
entro il cratere stillò per Ercole il vecchio Chirone?
E quel pastore che visse su l’Ànapo un dí, Polifemo,
quel forte che le navi colpía con le creste dei monti,
a sgambettar ne le stalle fu indotto da un nèttare tale
quale era quello che, Ninfe, ci deste da bere quel giorno
presso a l’altar di Demètra, dell’aia signora? Oh!, nel mucchio
piantare anche una volta possa io la gran pala; e sorrida,
colma le mani entrambe, la Dea, di papaveri e spiche.