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la risposta che egli sollecitava. E allora (come ricordo quelle parole dettate da un sentimento squisito, se non giusto, di rettitudine paterna!) disse:

— I romanzi francesi moderni non sono troppo adatti a lei, signorina; è troppo giovane per capirli e ... per apprezzarli. Pure, per mostrarle che non sono un orso le darò un bel romanzo, non scritto precisamente ieri, ma neanche nei tempi preistorici.

E mi porse Le roman d’un jeune homme pauvre, di Octave Feuillet!

Non lo conoscevo e lo lessi con molto piacere: ma per quel bisogno imperioso dì sincerità che è nel mio carattere e che m’ha procurato tanti dolori, non potevo lasciare il signor Eugenio nella convinzione che io fossi una della solite signorine a cui il severo papà non ha permesso che i Promessi sposi del Manzoni e il Niccolò de’ Lapi del D’Azeglio ... Forse, in quel bisogno di sincerità c’entrava anche un po’ di vanità... femminile. Erano allora così poche, così poche, le ragazze che all’età mia avessero inghiottito una sì inverosimile quantità di libri, tanto diversi, tanto opposti fra loro!

Comunque la cosa fosse, la prima volta che, deludendo un po’ la sorveglianza della mamma, occupata a sfogliare un album di caricature, potei parlare col cav. Vieusseux, gli dissi francamente, senza spavalderie e senza falsa modestia:

— Senta, caro signore: per certe condizioni speciali della mia famiglia ho avuto sempre molta libertà nella scelta delle mie letture; quindi ella mi dia liberamente il Catalogo o — se vuol proprio obbligarmi — mi favorisca i libri moderni più notevoli.