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a guardarlo con l’espressione dolorosa e strana che dovevano avere gli occhi della sventurata eroina.

Sul primo, Augusto non ci badò, poi mi guardò meglio meravigliato, in atto d’interrogazione muta: e siccome io continuavo il mio giuoco con un curioso senso di emozione non mai provato e che ero lontana dall’aspettarmi, egli tornò a guardarmi e diventò rosso, poi pallido, poi rosso di nuovo, come di chi fa una strana scoperta a cui non era preparato. Io... ebbi pietà di Carlo il Temerario e mi misi a leggere. Ma sentivo gli occhi di Augusto fissi su di me.

Finita la partita, quando fu il momento di congedarsi, mi si avvicinò e accarezzando dolcemente con un atto che gli era familiare le mie lunghe e grosse treccie castagne, mi disse con voce un po’ commossa:

— Ma sai, Ida, che sei diventata una vera ragazzina! Presto ci vorrà marito, signora Ester! — Aggiunse voltandosi verso la mamma che sorrideva di compiacenza.

Rimasi male, molto male. Io avevo voluto tentare una piccola esperienza e non avrei davvero saputo che farmi d’un marito. E le mie bambole?

Ma Augusto cominciò davvero a prendermi sul serio e a scagliarmi delle occhiate... alle quali non risposi, perchè m’imbarazzavano e mi davano noia: tanto che finii col dirlo alla mamma e col pregarla a farmi andare a letto ogni qualvolta la sera fosse comparso Carlo il Temerario. La mamma ci rise e mi contentò. Dopo cinque o sei mesi di questo idillio abbozzato. Augusto fu trasferito in un paesetto del mezzogiorno e non ne ho più sentito parlare.