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XI.

Ancora di Livorno.

È naturale che narrando di questi miei anni giovanili o, meglio ancora, infantili, io dedichi gran parte dei miei ricordi alla scuola. Infatti la vita dei fanciulli si riassume quasi tutta nella scuola ove trascorrono l’intera giornata, salvo la domenica. E la casa, in cui bisogna eseguire le lezioni prescritte dal maestro, non è forse una continuazione della scuola? Ed ecco perchè essa esercita una sì grande influenza su tutta la vita.

Ad ogni modo dirò qualche cosa anche sulla mia famiglia che mi educava con sistemi affatto diversi da quelli adottati dalla maggioranza. Forse non erano estranei a questi sistemi le continue occupazioni del babbo che non gli permettevano di occuparsi troppo visibilmente di me e le frequenti indisposizioni della mamma a cui non si confaceva affatto l’aria di Livorno. Prima di tutto mi si lasciava una piena, intera illimitata libertà nelle letture. Nella, casa (oh dolce casa!) indimenticabile di via degli Elisi, c’era una stanza che serviva ad uso di biblioteca o — per esser più esatta — di magazzino di libri. Era affatto appartata dal resto del quartiere e l’unica finestra che la illuminava dava, anch’essa, sul cimitero degl’Inglesi: e io, leggendo, riposavo lo sguardo sui verdi salici inondati dal sole tra le cui verdi rame avevano fatto il nido le capinere.