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balbettai fra i denti che un’improvvisa indisposizione mi aveva impedito di scrivere.

— In tal caso — diss’egli brevemente e stendendo le mani — ella avrà certo un biglietto giustificativo dei suoi genitori.

Mi parve di udire fra le mie compagne qualche scoppio soffocato di riso e il sangue mi salì alla testa. Alzai gli occhi in faccia al direttore e risposi alteramente:

— Non l’ho. La mia parola deve bastare.

Il giovane professore mi guardò un istante e soggiunse:

— Ed ora come sta?

— Ora? Benissimo.

— Vuol dire che ella avrà la bontà di far subito il suo componimento, prima di andare a casa.

Mi alzai col viso in fiamme.

— I miei genitori mi aspettano a desinare. Debbo quindi andarmene e...

— Farò avvisare la sua famiglia. Procuri di mettersi in calma. Le altre signorine possono andare.

E le congedò con un gesto.

Feci per parlare, per protestare, ma non potei: avevo la gola come serrata in una morsa d’acciaio. Il professore chiuse pianamente l’uscio della classe e tornò a sedere e a guardare il suo Dante illustrato. Si vedeva bene che durava una gran fatica a contenersi.

Volli provocarlo e sfogare in pari tempo la mia rabbia. Buttai in terra quaderni, libri, penne, atlante, quanto mi venne alle mani e lui duro.

Mi nascosi il viso fra le mani, piansi, strepitai, battei i piedi ma tutto fu vano: egli non si moveva. Allora presi un partito decisivo; mi alzai clamorosamente e