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X.

La prima volta.

Erano le due dopo mezzogiorno. La signora Teresa sferruzzava silenziosamente la sua calza di filaticcio e si contentava di darci un’occhiata di quando in quando. Io rigirava il mio filondente da tutti i versi senza sapermi risolvere a mettervi un punto.

Un po’ guardavo le altre bambine che, curve sul loro lavoro, erano o parevano più raccolte del solito, un po’ alzavo gli occhi ai vetri ingialliti del finestrino, dai quali gocciolava un’acquerugiola fine fine. Nella stanza c’era un puzzo di rinchiuso e di stantìo che mi nauseava e mi faceva pensare involontariamente alla cedrina del mio giardinetto pensile e anche alla boccetta d’acqua odorosa che mi aveva regalato Arturo, il ragazzo del secondo piano, che veniva sesso la sera coi suoi genitori a far la partita con noi.

Non era brutto quel bambino: piuttosto alto per la sua età, esile, sbiancato, con una vocina fioca e gentile, riusciva simpatico anche a me; ma aveva il difetto di essere un po’ goffo e impacciato: e una volta che per detto e fatto d’un giuoco di sala, fu obbligato a darmi un bacio, diventò rosso infocato e si limitò a sfiorarmi con le labbra il fiocco del codino in mezzo alle risate di tutti.