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letterone al Papa per esortarlo a rinunziare al potere temporale: e mi valevo per indurlo al gran passo, di tutte le ragioni che mi suggeriva la mia logica infantile. Non era Egli il seguace di S. Pietro, il povero pescatore di Galilea? Non si chiamava il «Servo dei Servi di Dio?» Non doveva, Egli pel primo, dar l’esempio del sacrifizio e della rinunzia?

Questa lettera che mi fu trovata dalla signora Teresa in fondo alla mia borsa da lavoro, venne consegnata al signor Giuseppe che la lesse attentamente, sorridendo, diventando ora rosso, ora pallido dalla maraviglia.

— L’ha proprio scritta lei?.. — mi domandò.

— Si signore.

— Lo giuri.

— Si signore, lo giuro per il bene che voglio alla mamma.

Il giovane professore allora mi fece un gran discorso sulla storia del papato, sui diritti della Chiesa, sulla rispettabilità sovrana di cui doveva essere circondato il Santo Padre e mi congedò consigliandomi a non toccar più, scrivendo, certi tasti pericolosi e troppo sproporzionati ai miei studi e alla mia coltura.

Conservo ancora — tutto gualcito e illustrato da indecifrabili geroglifici — il vecchio «Telémaque» su cui imparai il francese e... molte altre belle cose.

Gl’innumerevoli libri da me letti fino allora trattavano certamente di amori e di passioni, spesso non pure: ma li leggevo con tanta fretta, con una smania così ardente di arrivare in fondo che essi non lasciavano alcuna traccia dannosa sulla mia fantasia. E quel che non avevano prodotto i romanzi del Dumas, i fieri