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fine che egli si propone: organismo che non giova interrogare nè analizzare, dal momento che serve; una scatola di bottoni è un esercito di soldati, tre o quattro seggiole costituiscono la cittadella e qualche sassolino rappresenta la mitraglia...

Ora, con questi dati, com’è possibile stabilire un programma fisso, a scadenza fissa, applicabile a tutti i cervellini che popolano una scuola elementare?

Prendiamo ad esempio la lezione di storia che il maestro farà ai suoi alunni di terza: (tutti fanciulli di nove o dieci anni!). Quanti di essi terranno dietro al fatto, come fatto? Pochi, pochissimi, ma ciascuno da quella narrazione afferrerà i particolari per applicarli ad un caso suo proprio.

La descrizione d’una guerra farà pensare ai soldatini di piombo, ultimo regalo del nonno, ai fulminanti che sono in vendita dal cartolaro, a un bel castello turrito visitato da poco, a una bandiera formata da due stracci, ad alcune medaglie arrugginite, ecc. — E spesso — ed è il caso più frequente! — i ragazzi penseranno a tutt’altra cosa.

La scuola elementare, così com’è costituita, serve a poco o a nulla: poichè è un fatto che la prima coltura intellettuale ciascuno se la forma da sè, occasionalmente e quasi mai sistematicamente.

Un gran giardino che si stendeva davanti alle finestre della mia casa di Genova (posta in prossimità dell’Acquasola) e che mi dissero essere stato abitato molte centinaia d’anni prima da un Infante di Spagna, fu la cagione per cui io m’interessassi a quel poetico paese, agli uomini che lo avevano governato, ai suoi costumi, alle sue leggi. Carlo V mi condusse fino a