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— No, per carità! — gemè la mamma spaventatissima. — Queste cose da noi non si usano. Devi pagare tutto quanto compri, capisci? Pagar tutto scrupolosamente...

Il mio intervento (cominciavo a studiacchiare da me un po’ di francese e conoscevo il valore del verbo acheter...) pose fine all’equivoco...

In brevissimo tempo riuscii a capire benone il dialetto, che dopo tutto, non è dei più difficili: e ciò senza perdere menomamente il puro accento toscano e la proprietà del linguaggio che mandavano in visibilio i miei insegnanti, e il direttore, letteralmente innamorato della «sua piccola italiana»1.

Dopo pochi mesi di scuola io fui inalzata quasi alla dignità d’insegnante d’italiano, e non avevo che ott’anni.

Leggevo ad alta voce, facevo fare gli esercizi di nomenclatura, correggevo le dettature e i brevissimi componimenti delle terze e quarte classi elementari d’allora.

Sotto la mia agile calligrafia, gli scossàli, i mandilli, i màntili, i papier, i briquetti venivan mutati in grembiuli, fazzoletti, tovaglie, muratori, fogli di carta, fiammiferi, ecc.

Mi facevan declamare, recitare poesie e perfino cantare.

La Rondinella del Grossi, l’Addio del Giusti e il Tacea la notte placida del Trovatore erano i miei cavalli di battaglia...

Una volta, però, fui sul punto di perdere il regno e, con esso, ogni prestigio di autorità.


  1. Testuale.