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corte a una nostra cugina di Prato, bellissima ragazza, il cui ritratto a olio, opera del giovane artista, si trova ancora nella casa di lei, maritata da molti anni a Giuseppe Dini.
Io ero in gonnellina bianca con una vita sbracciata e scollata.
Accenno questo particolare perchè il Borrani cacciò un grido di ammirazione alla vista delle mie piccole braccia tonde, bianche, d’un disegno purissimo.
— Cara signora, — disse alla mamma — bisogna che ella mi presti l’Ida per qualche settimana. Sto disegnando un quadro dove c’è un angelo dalle braccia ignude: e questa creaturina è un modello squisito...
Mia madre acconsentì tutta orgogliosa e io scappai in camera con una scusa per andare a guardarmi di nascosto le piccole braccia tonde e bianche su cui — debbo confessarlo? — appoggiai le labbra quasi con rispetto.
La mattina dopo andai allo studio a posare: e non so ridire il mio entusiasmo alla vista dei molti quadri rappresentanti scene campestri, interni di chiese, pittoresche strade di città e di montagna, effetti di luce, tramonti, albe, ritratti, ecc.
Povero Borrani! Sotto qual diluvio d’interrogazioni strane, ingenue, puerili, profonde, egli dovè piegare il giovane capo intelligente!
Per dipingere quegli alberi e quei fiori e quei prati e lo sfondo di quei monti, bisognava dunque averli guardati molto? E i colori dove si trovavano? Come si faceva a chiederli? Bisogna forse dire ai negozianti: — Mi dia delle tinte per fare il cielo, il mare e i visi dei bambini belli? E per dipinger così bene le chiese e