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Nei primi tempi della mia vita letteraria ero convinta che una sola fosse la missione della donna; la cura della casa, ed un solo il suo dovere: di adempiere agli uffici di moglie e di madre. Fedele a questo programma non ho esitato un momento a colpire con le frecce di una satira beffarda chiunque si discostasse con l’opera e col pensiero da questo ideale, e a combattere per lunghi anni le teorie femministe. Dopo, a poco a poco, e non per suggestione, ma per convinzione sincera la luce si è fatta nel mio pensiero; ho assolutamente rinnegato i miei principii conservatori e sono diventata quello che si dice una femminista militante, almeno nel senso di chi vuol lasciata una assoluta libertà d’azione alla donna, e crede i suoi diritti e i suoi doveri, nel vasto campo della morale, assolutamente eguali a quelli dell’uomo. E ciò che mi ha portato a correggere e a modificare radicalmente le mie idee antiquate su questo argomento, sono stati i fatti, i fatti eloquenti, indiscutibili che hanno provato di quanto possa essere capace una donna forte, buona, intelligente, scevra da ogni pregiudizio.

Io cominciai a manifestare questa nuova corrente di idee nella mia Cordelia quando una mia egregia amica, la signora Costanza Giglioli Casella mi presentò una gentilissima donna: miss Turton che voleva istituire in Firenze una scuola di infermiere simili a quelle che funzionano in Inghilterra e in molti paesi dell’America1.


  1. Pubblico qui la lettera di presentazione:
    Gent.ma Sig. Baccini,
    Eccole un’occasione di fare un gran bene colla sua Cordelia,