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del centenario. Io cedo volentieri a chi lo vuole il brevetto d’invenzione; di mio non c’è che l’Esposizione con le gare di donne, e qualche piccola frangia per rendere più decenti, più eleganti, più squisite le feste per Beatrice, un nome che conviene a tutte le donne buone, a tutte le donne gentili, a tutte le donne che hanno negli occhi e nella parola qualche scintilla divina».


    volte a lui, esortandolo a prendersi qualche onesto svago e — finalmente — a cercare negli affetti di una nuova famiglia quella pace che la sua donna aveagli tolto partendo. E lo consigliarono ad ammogliarsi. — Perchè — gli dissero — non toglieresti tu in donna la Gemma di esser Manetto Doniti? A lei ridono gioventù e grazia: lei, fra le donzelle fiorentine, fanno chiara la gentilezza del sangue e la copia degli agi. Dove e come potresti tu fare scelta migliore?
    A Dante non spiacque l’idea di questi sponsali e si lasciò con assai buona grazia presentare a me. Io poi, fiera di quei suoi sguardi amorosi e del saluto con che volle onorarmi, mi sentii subito disposta a volergli bene — a consolarlo — a fargli dimenticare in breve tempo la perduta fanciulla.

    Ora comincian le dolenti note cara Direttrice. Mio marito non fu nella vita intima quello che forse si figurano i suoi ammiratori. Distratto sempre dalla mattina alla sera, non curava me, nè la casa, nè i quattro figliuoli che io gli avevo regalato uno dietro l’altro. La vita pubblica lo assorbiva tutto e nelle poche ore che gli lasciavan libere il priorato, i Guelfi e il diavolo che se li porti, pensava sempre a lei, a Beatrice, s’immagini con quanta mia soddisfazione! E col nome di Beatrice volle perfino battezzare una nostra figlioletta, quantunque io avessi deliberato di chiamarla Nella. Ma con Dante non si ragionava. Voleva quel che voleva e basta. Non le descrivo la mia vita, specialmente dopo l’esilio. Se lo figura, Lei, il carattere di quest’uomo invelenito, straziato nelle sue più alte aspirazioni di cittadino e di poeta? S’immagina