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del collegio in cui mia nipote insegnava, la notizia ch’ella intendeva assolutamente di consacrarsi alla vita religiosa e di prendere il velo di monaca.
Il fatto mi colpì, tanto più che l’Ebe, quantunque non avesse mai trascurato quelle pratiche di pietà che la fede sincera e la natural gentilezza di donna le suggerivano, non aveva mai dato a divedere un entusiasmo troppo spinto verso la vita monastica. Ella era spiritosa, disinvolta in società, e moderna nel senso più genuino della parola.
Spaventata da questo improvviso voltafaccia, corsi a Genova, parlai con l’Ebe, e riuscii a condurla con me, per qualche giorno, a Firenze. Nella brevissima permanenza che — ahimè! — doveva esser l’ultima, cercai inutilmente di persuaderla a rinunziare a una idea che per esserle nata così improvvisamente nello spirito, aveva tutto il carattere di una vera e propria suggestione. Ma in certi casi l’ostinatezza ha una logica spietata, e gli argomenti umani non fanno presa su spiriti che sono o si credono ispirati direttamente dal Signore. L’Ebe fu irremovibile; mi giurò che non mi avrebbe mai dimenticata e che sarei rimasta sempre viva nella sua memoria e nel suo affetto! disse che a quel proponimento era stata condotta da una ferma, lunga, e irresistibile vocazione... e mi lasciò. Dopo alcuni anni di soggiorno in Francia, a Lione, fu — non so se per ordini superiori o per deliberazione propria — traslocata a Torino. E a Torino è ancora, felice della nuova vita che la mette direttamente in comunione con Dio. Ora ogni rimpianto è inutile; si è compiuto quel che si doveva compiere.