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XXIX.

Sorrisi e lacrime.

(1886-90).

Nel 1886 erano già undici anni che io lavoravo assiduamente, e se si toglie qualche raro giorno di lieve stanchezza cerebrale, non avevo mai risentito nell’esercizio della mia professione disturbi tali che potessero indurmi a moderare, sia pure in qualche parte, il mio ardore. Come ho già detto in altre pagine di questo libro ho sempre nutrito la segreta speranza che il governo del mio paese volesse premiare la mia lunga operosità di scrittrice affidandomi qualche incarico, che, mentre mi assicurasse un piccolo conforto nei giorni non lontani del dolore, mi avesse dato modo di attendere ai miei studi letterarî con più pace e con maggiore tranquillità. Il mio desiderio parve che fosse esaudito e verso il 1885 o il 1886 (non mi ricordo più benissimo la data) fui proposta come insegnante di italiano nella scuola normale femminile di Firenze. Le trattative parve che approdassero bene, perchè il professor Aimo direttore della scuola normale, ed amico mio personale venne in persona in casa mia, a congratularsi per la nomina.

Di lì a pochi giorni mi riconfermò la nomina e aggiunse i suoi rallegramenti a quelli del mio vecchio amico, anche il comm. Masi, che era allora provveditore agli studî per la provincia di Firenze. Avendo ri-