Pagina:Ida Baccini, La mia vita ricordi autobiografici.djvu/226

218


cadeva spesso che qualche impiegato giovane lo pregasse di sostituirlo anche nella domenica in cui di diritto, gli toccava la libertà, e il mio buon babbo, per far piacere al collega, rinunciava volentierissimo a questo suo diritto, caricandosi pazientemente del lavoro di un altro. Uscendo dall’ufficio, portava a casa altro lavoro, e a lavorare si sarebbe rimesso anche la sera, dopo desinare, se non lo avessimo sconsigliato. Cedeva però a malincuore, scuotendo il capo, rodendosi internamente di non poter fare a modo suo. Mio padre fu negli ultimi anni un vecchietto originalissimo, che non voleva mai rinunziare alle proprie idee, pretendeva di discutere su tutto e su tutto avere quello che si dice «un’opinione». Eccellente pasta d’uomo, nessuno ricorreva mai inutilmente al suo cuore e alla sua generosità. La vita sobria e regolata gli conservò le forze fino alla più tarda età: aveva da poco compiuti gli ottanta anni quando lo trovai un giorno, in via Calzaioli. Portava sotto il braccio un pesantissimo rotolo di lino che avrebbe retto con difficoltà anche un giovanotto di vent’anni. Io ero in carrozza, e non potei sopportare quello spettacolo. Raggiunsi il babbo e lo pregai a mani giunte di salire. Dopo mezz’ora di preghiere acconsentì a mettere in carrozza il rotolo; ma volle in tutti i modi seguitare la sua strada a piedi. E fece a modo suo non senza avere snocciolata una vera e propria requisitoria contro la fiacchezza dei giovani, la loro nessuna tolleranza alla fatica e chi più ne ha più ne metta.

Nel 1886 cominciò ad accusare alcuni lievi dolori allo stomaco. Erano i prodromi della malattia che do-