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fetta stoicità nel sopportare il male, non credo inutile raccontare di lui il seguente aneddoto.
Mentre, dopo la morte del padre, egli accudiva come meglio sapeva e poteva al suo piccolo commercio di libraio gli toccò, — non mi ricordo più in quale occasione — a recarsi in una tipografia. Era stata messa
Ahimè! vidi, vidi con gli occhi de lo spirito, fra quei legnacci, fra quei vecchi oggetti fuori d’uso, qualche cosa di candido, di metto che mi chiamava, che mi voleva imperiosamente.
Mi alzai precipitosa e di notte com’era — sensa badare alle ammonizioni dei miei — che mi supplicavano a rimettere al giorno dopo la mia visita — corsi in casa di mia sorella e prima ancora di entrar da lei, mi slanciai verso l'angelo fatale. Dio buono! Se il mazzolino fosse stato tolto, spazzato, gettato via! Se la povera malata avesse potuto indovinare, supporre! Oh, c’era da smarrire la ragione per sempre.
Chi la saprà ridire a parole, le mia ebbrezza, la felicità mia, allorché lo intravidi, bianco e gentile, al lume vacillante della candela che tenevo in mano tremando?
Lo presi, no, lo ghermii con passione furiosa, me lo sfegai ai labbri, agli occhi, alle gote, lo coprii di baci, lo nascosi in seno, sulla pelle ignuda, per sentirne meglio il contatto.
«Avevi perduto qualche cosa che ti premeva? — mi chiese mia sorella.
— Sì, — risposi balbettando, — un anellino d’oro.
E lei ci credè, poverina.
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Terzo fiore: una viola scempia. Me la porse un solitario, mi poeta, un uomo forte e buono che vive lontano dal mondo ciarliero dei letterati. Voi, lettrici gentili, ne avete letto più volte i versi melodiosi e soavi. Andai a visitar questo amico in compagnia di un’altro amico che ora è morto;.... ma è morto per me, per me sola. C’è chi lo vede ancora per le vie cittadine, c’è chi lo ode tuttavia dall’alto della sua cattedra, intrattener