Pagina:Ida Baccini, La mia vita ricordi autobiografici.djvu/220

212


donne che l'assistevauo (io l’avevo lasciata da poco, non credendo ad una catastrofe imminente) si curvarono su di lei, pregando e piangendo. Ma se il suo pallido viso era coperto d’ombra, l’anima era già nella luce...

Il figliuolo Ettore la raggiunse, sei mesi dopo, nel novembre dell ’86.


    Inutilmente! I morti si erano annoiati nel silenzio dei loro sepolcreti e ci aleggiavano intorno, accanto, sul capo, sussurrandoci con insistenza:
    — Ti ricordi? Ti ricordi!


    Mi alzai, vinta dallo sgomento, da quella smania, per cui ogni tensione dello spirito e perfino l'immobilità del corpo ci riescono ugualmente insopportabili. Mi alzai, eccitata da una volontà che non era la mia perchè più energica della mia, 1 miei sguardi, vaghi ed incerti, erravano da un soggetto all’altro, senza fermarsi sopra alcuno.
    Finalmente un’idea, l’idea di ravviare i ninnoli del salotto, mi traversò la fantasia a guisa di lampo che solca, luminoso e fuggitivo, la tristezza di un cielo autunnale.
    E subito, di mano in mano che i fragili oggetti passavano e ripassavano dalle mie dita nervose, ecco che al pensiero cominciavano a sfilare, inseguendosi, antiche visioni, dolci fisonomie non ancora dimenticate, paesaggi lontani, misteriosi, quali, talvolta, intravediamo nei sogni.
    Non c’era più dubbio: i morti, i buoni morti, erano venuti a visitarmi. Li sentivo.

    Povero mazzolino di violette, morto sul mio seno e sepolto nel cristallo lucente di quel vasellino chinese: povero mazzolino! La mano che me lo porse è irrigidita da qaasi un anno. Si preparavano qui nella mia Firenze