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di vita. Ma — debbo dirlo ad onore — quella esitazione non ci fu e Dio mi protesse1.

L’Egle peggiorò sempre: nella seconda decade di maggio era agli estremi: il medico la vide, l’ultima volta il 16 di maggio (il giorno della mia festa) e se ne andò crollando il capo. Il 17 doveva essere il suo ultimo giorno di vita. Verso sera, ella domandò con voce fioca, che ora forse e perchè si fosse fatto ad un tratto, così buio. Erano le tenebre della morte che avviluppavano gradatamente il suo spirito, giacchè fuori il tramonto accendeva le cime degli alberi e per l’aria purissima passavano tutti gli indistinti profumi della primavera. Le


  1. Non posso fare a meno di riportar qui, in omaggio alla cara morta, un mio bozzetto che mi fu in gran parte ispirato dalla sua memoria che ricorda, pur troppo, una mia quasi imperdonabile viltà. Questo bozzetto fa parte di un volume di novelle stampato dai Paggi di Firenze e intitolato: «Realtà e fantasia».

    Storia di tre fiori.

    Siete spiritiste, mie belle lettrici? Io sì; ma intendiamoci: spiritisti a modo mio e non già a modo del bravo Fenzi, del mio illustre collega Eugenio Checchi, del buon Capuana e del malizioso Verdinois. Non credo per esempio ai tonfi negli armadi, ai tavolini che girano e alle apparizioni di Jacopone da Todi e di Cecco d’Ascoli. Credo però fermamente, oh se ci credo! che le anime dei cari nostri vengano spesso a visitarci e ad intrattenersi volentieri con noi. Ciò avviene in certe giornate melanconiche, tristi, quando il cielo è plumbeo, quando il vento geme attraverso le grandi stanze disabitate, quando infine la febbre delle memorie ci assale sordamente, quasi a nostra insaputa, con un crescendo di intensità che ci spaventa.
    Ci eravamo accomodate nell’angolo preferito del salottino, avevamo preso il nostro ricamo, tenevamo aperto sol tavolino l’ultimo romanzo testè comparso alla luce.