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separarmi dai miei cari, presi in affitto un grazioso quartierino sul viale del Pallone (oggi Viale Regina Vittoria) proprio accanto alla casa abitata da mio padre e dall’Egle. L’Ebe, da un pezzo, si trovava in educazione nel Convento di San Niccolò, oltr’Arno. Dopo il matrimonio, mia sorella andò a stare, insieme col marito a Porta Romana; e fu là che si manifestarono i primi sintomi del male che in pochi mesi doveva toglierla al nostro affetto. Un po’ delicata di petto l’Egle era sempre stata; ma nulla avrebbe dato a credere che la logorasse la tisi. Io, sapendo benissimo, che spesso in quelle malattie, il subitaneo cambiamento di aria se non ad una guarigione può almeno condurre ad un lieve miglioramento feci in modo che insieme col marito ella tornasse ad abitare il nostro vecchio San Gallo; e proprio sul viale regina Vittoria le presi in affitto un modesto quartierino. Vedendola però peggiorare ogni giorno, e avendomi detto il medico che ormai la mia povera sorella era condannata, le mie visite si fecero frequentissime, continue. Io avevo già presa la direzione della Cordelia e stavo di casa in piazza del Duomo; ma tutti i giorni correvo a casa dell’Egle per non verificare — pur troppo — che un peggioramento progressivo.

I miei rapporti con l’Egle, fino a che ella non s’infermò, erano sempre stati più che cordiali, ma non molto affettuosi. I nostri caratteri differivano troppo l’uno dall’altro; eravamo separate da un abisso di sentimenti e di idee. Ella — senza farmelo in nessun modo capire — non poteva apprezzar molto una donna così dissimile dalle altre, una donna che invece di consacrarsi esclusivamente alle cure dome-

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