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marzo, quando Matilde Serao, reduce da poco da Terrasanta, e io venimmo a salutarti nella solitaria casetta d’oltr’Arno. Il male che ti uccise aveva già incavato le tue guancie delicate, aveva già sparso di mortali pallori la nobile fronte.... Sereno, gentile sempre, volesti da Matilde il racconto compendiato del meraviglioso viaggio per cui fiorì il più meraviglioso libro: Al paese di Gesù: e quand’ella, con la parola calda, con gli occhi accesi di entusiasmo, ti descrisse la sua ascensione sul Golgota e ti disse com’ella si fosse prostrata sulla nuda terra in atto irrefrenabile d’adorazione, oh di che luce s’accese il tuo mite occhio pensoso! Che tremito ti ricercò le fibre e t’agitò le lunghe mani ceree!

Povero e grande Nencioni! Hai tu finalmente saputo il grande «perchè» dell’esser nostro?

Mentre scrivo guardo con gli occhi pieni di lacrime la vecchia poltrona su cui a me convalescente delle mie quasi annuali bronchiti, venivi a leggere le splendide conferenze con che deliziavi l’uditorio che s’accalcava, per udirti nelle patrizie sale del palazzo Ginori! ...

Ora, Enrico, la tua parola s’è mutata in cantico ed io tendo ancora l’orecchio ad afferrarne le note lontane che si perdono su su nell’azzurro... da te cantato e sentito!

Piccola, non bella della persona, gracilissima e malata, viene a sorridermi in questo momento col suo più dolce sorriso la cremonese Rosa Martinelli. Vissuta lontana dai rumori e anche dalle lotte feconde della vita, priva di tutti gli aiuti che all’ingegno offrono i pubblici istituti di coltura, come biblioteche, gallerie,