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A poco per volta mi affezionai alla vecchia e malinconica casa. Valsero certo a rendermela più calda d’affetti la frequenza delle visite amiche e la lunga memoria di tutti i giorni lieti e tristi che vi trascorsi nel lungo spazio di diciotto anni, tanto che quando — pochi mesi or sono — la vidi nuda e squallida nell’imminenza del trasloco, sentii stringermi il cuore.

Il giornale sui primi tempi, mi dette da fare. Il De Gubernatis aveva inspirato tutto il suo nobile lavoro di tre anni a un ideale di serietà e di dottrina che lusingava pochissimo (e tanto meno allora) l’ideale delle nostre ragazze, abbastanza fatue, leggere e ciarliere. Io allora non militavo nelle file avanzate del vero e proprio femminismo, come vi milito oggi; ma pensavo che allo sviluppo dell’educazione femminile l’eccessivo dottrinarismo, dovesse togliere ogni carattere di gentile bellezza. Quindi si trattava di trasformare radicalmente la Cordelia; di farne una rivista che non fosse nè troppo dotta, nè troppo grave, nè troppo libera, nè troppo rigida, nè troppo fatua, nè troppo seria. Questa ricerca di apparente mediocrità era necessaria per la diffusione del periodico. Per rendere vitale una pubblicazione di quel genere non bisognava indirizzarsi ad un gruppo, ma ad una collettività, e quindi fare in modo d’accontentare un po’ tutti. Ma all’intenzione buona non risponde sempre l’efficacia dei fatti, e non è raro il caso di vedere molti scontenti e insoddisfatti anche quando ci siamo dedicati ad un’opera con energia e con giovanile entusiasmo. Sui primi tempi non mancarono le critiche. Il fatto che la mia rivista era dedicata alle giovinette dette a credere a molti scioperati del bello italo regno che fosse facilissimo collaborarvi; quindi io

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