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XXVI.

La «Cordelia».

(1884).

Intorno a questo soave nome di fanciulla in cui il genio shakespeariano personificò lo virtù più gentili di donna e di figlia quante memorie liete e dolorose si addensano! — Che respiro di forza gioconda mi allarga l’anima e il petto nel ricordo di questi ineffabili diciotto anni di giornalismo letterario!

Ho detto ineffabili, e non me ne pento. Quantunque il lavoro sia stato aspro, tenace, ferreo, continuo; quantunque i doveri della necessità abbiano messo a prova singolare la forza del mio carattere e la pieghevolezza del mio ingegno, quantunque ostacoli di tutti i generi si sieno frapposti fra la mia volontà e il mio lavoro, benedico e benedirò sempre la mia fatica che m’ha dato modo di provare tante dolci emozioni! I lettori perdonino questi sfoghi di innocente lirismo e mi permettano di alternare alla rigida esposizione di una cronistoria un capitolo di liete memorie; sappiano — se questo può farli più lieti — che nè i più cocenti dolori della vita, nè le sue più profonde amarezze non sono mai riuscite a fugarmi dall’anima quel senso di inalterabile serenità che è una delle mie speciali caratteristiche.

E anch’oggi, dopo venticinque anni di vita giornalistica, non mi sento disillusa e scrivo per le mie riviste