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Appena ebbi deciso la mia prima gita a Roma, scrissi alla Serao, che da Napoli vi s’era trasferita, insieme col padre, sin dalla fine dell’anno prima, e la pregai di trovarmi una modesta pensione. La Serao mi rispose subito, con molta gentilezza, indicandomi la casa della signora Sopranzi, in via Campo Marzio, 69, dove mi trovai benissimo.
Roma mi fece allora un effetto diverso da quello che mi aspettavo: mi parve più piccola, più misera, più provinciale di quello che immaginavo. Ma non per nulla Malebranche ha chiamato «la pazza di casa» Madonna Fantasia.
Mi ricordo che la sera del nostro arrivo, mi smarrii, insieme col Checchi, nel tumulto dell’immensa e malinconica città. La tensione spasmodica dei nostri stomachi era arrivata al maximum. Gira, gira e rigira, non riuscivamo a trovare neppure una modestissima gargotta in cui fosse possibile calmare i morsi di uno straordinario appetito. Pure lo spirito del Checchi rimaneva inalterato in quelle lunghe ore di digiuno forzato e le torture della fame trovavano un facile sollievo nella larga onda di freddure e di paradossi che uscivano dalle labbra del mio compagno di sventura. Finalmente, un angelo del Signore guidò i nostri passi alla piazza del Pantheon, e fu con indescrivibile giubilo che alla trattoria della «Rosetta» terminò, per quel giorno, il nostro primo pellegrinaggio romano.
Io mi trattenni in Roma circa quindici giorni. Vi conobbi personalmente la Serao, Eleonora Duse e Giuseppe Giacosa che scriveva in quel tempo per lei una breve produzione teatrale, la Sirena, la quale non