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zioni più umili. Fu col tempo nominato (ed è ancora) professore d’italiano nell’Istituto tecnico di Roma, dov’egli disimpegna con scrupolosa coscienza il suo dovere di maestro; è autore lodato di molti libri per giovinetti e per fanciulli; ma non so se l'insegnamento nelle scuole secondarie, o l’esercizio della letteratura infantile sieno precisamente la sua vocazione.
Nell'ottantadue gli era stata offerta la Direzione del Fanfulla Domenicale. Prima di decidersi, volle andare a Roma, e sapendo che anch’io desideravo ardentemente di visitare la meravigliosa città mi propose di fare il viaggio insieme. A Roma avremmo trovato amici comuni e trascorsi giorni deliziosi. Inutile dire che la proposta fu accettata immediatamente.
Io stimavo molto e stimo ancora il Checchi per la nobiltà e semplicità del carattere. Col suo ingegno e con la sua ferma volontà di riuscire, egli avrebbe potuto conquistarsi posizioni magnifiche, solo se avesse saputo inchinare un momento la schiena, e accaparrarsi con cortigianesca adulazione il favore di chi sedeva in alto; se avesse sacrificata la sua sconfinata modestia sull’altare dell’egoismo e dell’utile; se, in una parola sola avesse saputo farsi valere. Non ha mai fatto un passo per giovare a sé; nobile e fiero come un cavaliere antico, fedele alla sua arte, scrupoloso conservatore di ogni idealità gentile, ha lasciato che il mondo andasse per la sua strada e che il pubblico lo giudicasse a suo piacimento. Per fortuna, e pel suo merito, il giudizio è stato favorevole; ma è molto probabile che se anche fosse stato diverso, il Checchi non avrebbe mosso un dito per modificarlo.