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Erano frequentatori di quella casa Don Gaetano Giunti, Pievano di Montemurlo, scrittore garbato ed elegante, (tenuto in molto conto da Massimo d’Azeglio che in casa di lui prese gli appunti occorrenti per gli ultimi capitoli del «Niccolò de’ Lapi») lo storico Atto Vannucci e Zanobi Bicchierai, fondatore della prima Scuola Normale maschile a Firenze.
Il nonno possedeva anche delle terre in proprio a Coiano, paesello distante qualche chilometro da Prato e celebre per aver dato i natali a Giovacchino Limberti nostro cugino, che fu poi arcivescovo di Firenze.
Ricordo, di Coiano, una grande strada maestra, piana, polverosa, bianca, e un podere vastissimo, a perdita di vista, attraversato per ogni senso da lunghi interminabili filari di viti, curve sotto il peso di enormi grappoli d’uva.
Ricordo un’aia spaziosa, una cucina immensa, tutta nera, dal cui soffitto scendevano innumerevoli ciocche di pomodori e rèste d’agli: e, ritta sul limitare, una vecchina arzilla, cognata del nonno, coi capelli grigio-rossastri pettinati alla Beauharnais che mi faceva vezzi e moine dicendomi:
— Ida! Ida! Ma che razza di nome t’hanno messo quegli eretici fiorentini? Non sei neppure nel lunario! S’è mai sentito di peggio?
Nel 1855, nella Toscana granducale, quando l’andare in vapore pareva quasi un insulto alla religione e ai buoni costumi, i fiorentini godevano presso gli austeri pratesi la medesima stima che oggi ispirerebbero a noi i più scapigliati rappresentanti dell’antico quartier Latino, immortalato dal Mürger.