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oro. Non aveva prima lasciato il «Fanfulla» per correr dietro al Martini, che si pentì. Egli aveva bisogno di lavorare, e la collaborazione a quel periodico gli rendeva circa 20 lire al giorno; mentre le sorti della «Domenica letteraria» erano ancora incerte.

«Non casco in terra — mi scriveva in quei dolorosi momenti — perchè i miei scritti sono accettati e pagati volentieri... ma per guadagnarmi da vivere mi toccherà ora a lavorar come un negro, e io sono ora affranto dai dispiaceri, dal caldo e dal male allo stomaco. Campo di bismuto e di soda-water. Sono più secco di un gioco di dominò. Povero rosignolo!»

Egli rimase quindi al «Fanfulla della domenica»; ma dopo poco si pentì amaramente di avere abbandonato il fedele amico e mi scriveva nel marzo del 1882:

«Io non mi trovo contento, anzi soffro e molto! Io sono stato la vera vittima in questa sciagurata faccenda. E ancora sarei sempre a tempo a mettermi a casa scrivendo per «diversi» e lasciare il posto al «Fanfulla domenicale». Stare in quel giornale che inevitabilmente è l’antagonista di quello del Martini... fargli concorrenza, io, suo vecchio amico d’infanzia, ah, sento che non è bello... Io sarei ben lieto di stringer la mano a Ferdinando... Mi scriva e mi conforti, cara, buona e brava amica!»

E poche ore più tardi:

«Il cuore e il sentimento di amicizia, anche di gratitudine, hanno vinto. Fatta la pace col Martini. Scriverò per lui e per altri. Sistemato affare anche dal lato interesse in modo conveniente. Resterò al Fanfulla della Domenica finchè non abbia trovato un successore. Ma al più tardi il 20 del corrente io sarò a casa, libero,