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altra lo sarebbe). Ebbene, rileggendo quel libro, mi è venuto in mente di cavar fuori una produzione teatrale dal vostro raccontino «Il romanzo di mio marito». Volete aiutarmi? Vi manderò man mano quel che farò, e voi mi direte le vostre impressioni, mi correggerete lo scritto coi dovuti consigli. Volete? Non vi seccherà di troppo? Dopo un periodo di ozio voglio rimettermi a far qualche cosa e tornare al teatro: mi fareste il favore di accettare il mio braccio e di accompagnarmivi?»

Ora che il povero Bersezio è morto e che lunghi anni sono trascorsi da quel tempo lontano queste cose si possono dire e scrivere. Quando intorno alla sua salma garrivano gl’indiscreti e spettegolavano molti curiosi, interloquire sarebbe stata vanità inescusabile. L’affettuoso ricordo di quella fratellanza amichevole, rievocato oggi alla distanza di vent’anni, suoni sempre lode e gratitudine alla memoria di Vittorio Bersezio.


Di un’altra cara e preziosa amicizia ho da parlare in queste pagine, dell’amicizia di Matilde Serrao, che conobbi di nome, nell’anno 18811, e personalmente


  1. Avevo sempre vagheggiato, prima della mia condanna all'infanzia la grande arte. A questo proposito riporto qui alcune lettere dei due più grandi artisti d’Italia che mi onorano della loro affettuosa amicizia.
    «Pregiatissima amica — mi scriveva Matilde Serao — permetta che io dica così dopo la buona e affettuosa lettera che ella mi ha indirizzata. Come si vede che all’intelletto profondo ella unisce un cuore pieno di sentimento! Non parliamo di me, parliamo di Lei. Le suo novelle sono bellissime di una grande originalità, senza