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aggiustare per le scene italiane parecchie produzioni straniere, delle quali ritengo l’argomento e le linee principali, ma modifico caratteri, condotta, episodii, a seconda mi pare che si adattino meglio ai nostri costumi e al nostro gusto.

Vorrei insieme poterci dare la naturalezza e il garbo della parlata toscana, escluse però le forme e maniere e frasi troppo particolari che non sono famigliari e riescono quindi affettate agli italiani delle altre regioni, e per avere questo pregio che io non so mettere nella mia prosa, ho pensato a voi. Nessuno meglio di voi sa appunto usare un linguaggio toscanamente facile, naturale ed elegante, e insieme alieno dagli idiotismi e dialettismi: nessuno ha uno stile per me più simpatico del vostro. Vorreste voi correggere il mio scritto, ripulirlo, e lasciarmelo mandare attorno coll'acconciatura che gli avrete dato! ... È superfluo ch’io vi dica che voi di questo lavoro fisserete il compenso che non sarà mai adeguato al servigio che mi avrete reso».

E sempre nell’82:

«Eccovi i miei scarabocchi su cui avrete da perdere gli occhi e la pazienza. È ben’inteso che voi siete arbitra non solo della lingua e dello stile, ma anche della sostanza, e quindi quello che troverete che vi urta o vi spiace, o vi secca, dategli di frego, e se tutto lo scritto ha questa disgrazia, ditemelo francamente: non sono di quelli che si offendono».

E nel gennaio dell’83:

«Sapete una cosa? Che rileggendo il vostro libro Le mie vacanze (l’ho riletto, capite? e se questa non è una prova che mi sia piaciuto tanto non saprei quale