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ci venivano somministrati da una grande e misericorde scatola di cubi da costruzione. Nel vano dell’uscio si delineò la silhouette della mia vecchia serva, col grembiule da cucina strinto alla vita e le mani stillanti di acqua.

— Signora — mi disse — c’è un uomo che desidera di vederla.

— Ah, sì? — domandai distrattamente, pensando subito a qualche mio piccolo creditore (ne avevo un sei o sette) — e chi è?

— Ha detto di essere un... aspetti! Un certo Martini.

— Ho capito: è il fornaio. Si tratta d’una piccolezza. Lo pagherò, fallo entrare.

E l’uomo più spiritoso d’Italia, quegli che più tardi doveva essere segretario di Stato, ministro e governatore dell’Eritrea entrò inchinandosi, stupefatto del singolare spettacolo che gli si parava dinanzi.

Il vestire semplice ma eletto, il cappello a cilindro in mano, l’inchino, lo sguardo, il sorriso mi fecero accorta immediatamente del mio errore.

— C’è un equivoco — esclamai vivacemente balzando in piedi e cercando istintivamente con un rapidissimo atto della mano di rimediare al disordine della toelette e della capigliatura. — Ella non è...

— Io sono Ferdinando Martini, signora — dichiarò sorridendo il mio visitatore. — La sua donna non ha sbagliato.

— Ferdinando Martini, l’autore di tanti squisiti Proverbi... del romanzo Peccato e Penitenza, il direttore del Fanfulla della Domenica!

— Proprio io! Io che non ho voluto lasciar Firenze, dove sono di passaggio, senza venire a stringer la mano all’autrice d’uno fra i più leggiadri bozzetti ch’io