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Gli avevo ceduto la proprietà di un volume di novelle per una data somma, perchè naturalmente le pubblicasse tutte insieme. Al brav’uomo ne andò a genio, fra le altre, una che egli credè adatta ai ragazzi, quantunque non lo fosse menomamente. Che fece? Prima stampò il volume e lo mise in commercio; contemporaneamente fece stampare alcune centinaia di copie di quella novellina in un fascicolo che cercò di vendere a poco prezzo, mi pare a trenta o a quaranta centesimi. Lasciando da parte il fatto che la novella non era assolutamente adatta per i ragazzi e avrebbe danneggiato con la sua divulgazione il mio buon nome di pedagogista l’ingenuo editore aveva creduto bene di smerciare a suo esclusivo vantaggio una pubblicazione ma, senza avvisarmi e naturalmente compensarmi. Fui appena a tempo a far ritirare le prime centinaia di copie che si trovavano in commercio, e avvisai in pari tempo l’editore che mi scrisse una lunga lettera di scusa, incolpando dell’«errore» la tipografia. Che fosse un «errore» non ho mai ardito metterlo in dubbio; ma per l’appunto era un errore in cui chi perdeva, ero io!! ...

Un terzo editore, più grazioso degli altri, mi affidò l’incarico di scrivergli un romanzetto per i ragazzi. Glie lo scrissi, e feci del mio meglio. Il prezzo della cessione era però un po’ elevato; pure egli mostrò di accettare tutte le condizioni che gli proponevo in una minuta di contratto. Ricevuto il manoscritto lo tenne quasi per un mese; poi mi scrisse una lunga lettera dicendomi che il lavoro in molti punti non gli era piaciuto e che egli (l’editore!) avrebbe voluto vedere sviluppati alcuni motivi e tralasciati altri; finì col