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pochissime eccezioni, la proprietà definitiva del mio manoscritto per una somma data, senza preoccuparmi nè delle tirature, nè delle riedizioni dei miei libri; contandomi della famosa, piccolezza ogni tre o quattro mila copie vendute. Soltanto da circa due anni ho adottato, come più efficace, il terzo metodo, nè ho avuto, per ora, occasione di pentirmi. Anzi spero, da qui avanti, di non trovarmi più nel caso in cui mi trovai circa dieci anni sono, offrendo un mio manoscritto a un editore. Avevo già pronto da tempo una lunga novella che avrebbe occupato circa centocinquanta pagine di stampa, e mi trovavo in un doloroso momento di difficoltà finanziarie.

Scrissi all’editore una lettera confidenziale, piena di affetto e di gentilezza; esponendogli le mie condizioni di spirito e, ohimè! ... di portamonete. Terminai offrendogli l’acquisto della mia novella, che, dati i nostri precedenti rapporti commerciali, avrebbe potuto comprare, senza suo scapito, con due o trecento lire. Il brav’uomo mi rispose una lettera commerciale, colla intestatura della ditta, con tutte le abbreviazioni e le sgrammaticature dell’uso, non si preoccupò per nulla delle mie pene domestiche nè delle mie difficoltà finanziarie; ma accettò di buon grado il volumetto, offrendomi in cambio della propietà definitava del lavoro lire settantacinque!

L’onesto industriale aveva speculato sul mio dolore, cercando di trarne un vantaggioso commercio; ma rimase deluso. Io credei bene di non rispondergli nemmeno, e tutto finì lì.

Un altro casetto consimile mi successe molti e molti anni sono con un altro editore.