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un largo smercio, l’autore va a capo rotto appunto per quella benedetta piccolezza che non è in proporzione col guadagno fatto dall’editore il quale ha messo in vendita una nuova edizione che eguaglia e spesso supera, nella tiratura, la prima.
Vediamo di render più chiare queste parole con un esempio: Supponiamo che l’editore A compri dall’autore B un volume con questi patti: lire 800 per la prima edizione, lire 100 per le successive. E si supponga che l’editore faccia stampare 2000 copie di quel libro, mettendo in vendita ciascuna copia a lire 2. Egli — supponendo che tutta la prima edizione si esaurisca — senza di che non può pensare alla seconda, incassa lire 4000 da cui dovrà togliere oltre le lire 800 per compenso dell’autore, poniamo lire 1500 per ispese di stampa, incisioni, tiratura, réclame, spedizione, sconti, ecc., cioè un totale di lire 2300. Avrà un guadagno di lire 1700, o — al minimo — di lire 1600 per fare i conti pari. Egli quindi, nella sua speculazione, guadagnerà, per questa prima edizione il doppio preciso di quanto guadagna l’autore. E sia pure. Eccoci ora alla famosa piccolezza, ossia al nodo della questione. Secondo il contratto, l’autore per la seconda edizione non ha diritto di esigere che lire 100, mentre lo smercio di quella stessa seconda edizione, con la stessa tiratura di esemplari, detratte le spese, darà all’editore un guadagno di lire 2600 o giù di lì. Mettiamo pure lire 2000, valutandogli 600 lire il rischio della pubblicazione; resta sempre un guadagno di duemila lire, che non è proporzionale alle cento a cui ha diritto l'autore del libro. In molte questioni economiche non si inveisce tanto contro il guadagno di per