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se me lo avessero offerto lo avrei accettato volentieri. Ma i ministri della pubblica istruzione fecero quasi sempre orecchi da mercante, e un pezzo grosso della Minerva, deputato al Parlamento credo, ma certo commendatore, a cui mi rivolsi personalmente, in Roma, per patrocinar la mia causa, mi rispose sul viso a bruciapelo, che il ministro non poteva occuparsi di simili faccende, e che se ero povera la colpa era mia: dovevo farmi pagar meglio dai miei editori. Scesi ridendo gli scalini della Minerva, pensando che il commendatore doveva esser ben poco pratico del commercio librario se credeva possibile che gli autori, in Italia, potessero arricchire.

Se Iddio mi ha concesso un ingegno vivo ed acuto e una tenacia quasi meravigliosa di lavoro, pure gli piacque esagerare un po’ la mia dabbenaggine. Dopo avere scritto quasi cento volumi mi trovo, finanziariamente parlando, nelle stesse condizioni nelle quali mi trovavo al principio della mia carriera letteraria. Alcuni miei libri non hanno avuto l’esito che io mi ripromettevo, e gli editori che li han pubblicati, hanno ottenuto, dalla stampa di quei volumi, mediocri guadagni; altri libri, specialmente di educazione, hanno cooperato alla ricchezza di chi li stampò. Dell’essere rimasta povera non mi lagno. Ho forse soddisfazioni morali quali non ne hanno gli autori ricchi, se pure in Italia ve ne sono; soltanto mi piace di mettere gli altri sulla buona strada e farli avvisati dei non pochi pericoli che s’incontrano nello scabroso cammino. Per non far credere che gli editori per cui ho scritto (sono quasi tutti gli editori d’Italia) mi abbiano quel che si dice sfruttato darò ai lettori qualche schiarimento sui