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era uno stranissimo uomo: dotato d’ingegno vasto, di coltura varia e ricca, egli possedeva un acume critico notevolissimo e uno spirito indemoniato. Una volta se la prese con un reporter perchè non aveva pubblicato nel giornale il resoconto di un incendio. Il reporter gli fece rispettosamente osservare che l’incendio si era sviluppato mentre il giornale era in macchina. Allora il Pancrazi non sapendo più che cosa rispondere e messo come suol dirsi alle strette s’infuriò e gli rispose; — Lei è una bestia; un giornalista vero deve prevedere tutto; anche gli incendi. — Non ci sarebbe mancato altro!
Andai ad offrir la mia opera giornalistica al Pancrazi, il quale accettò subito, senza discutere. Non mi parlò né del mio ingegno, nè delle mie attitudini: gli fece invece impressione la mia straordinaria magrezza su cui gli piaceva spesso di scherzare.
Nella Gazzetta d’Italia e nella Rivista Europea scrissi un po’ di tutto; ma piacevano più specialmente le mie recensioni che, per il solito, firmavo con il pseudonimo di «Manfredo». Quello pseudonimo per poco non mi procurò un duello, ed ecco come andò il fatto. Avevo, come si dice in gergo giornalistico, stroncato un libro di versi, e mi aspettavo dall’autore un diluvio d’impertinenze.
Invece un bel giorno mi vidi comparire a casa due giovani signori, i quali mi domandarono chi fosse «Manfredo». Capii subito di quel che si trattava; ma seppi evitare abilmente una risposta che avrebbe potuto compromettermi e interrogai io i due signori sul motivo della loro visita. Mi dissero che l’autore del libro «stroncato» si era creduto offeso da certe mie frasi e che chiedeva una ritrattazione o una riparazione per le armi.