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rosa di violare la sacra e dolorosa esuberanza di quella tristezza.

Al trasporto funebre della povera mamma presero parte fra gli altri amici il Dazzi,1 Ubaldino Peruzzi, la


  1. Anche Pietro Dazzi adorava la sua mamma. Questa era per lui l’idealità più alta e più gentile. Non la contristò mai e a quarantasette anni suonati egli le si dimostrava e le era sottomesso come un bambino. Mai andò una sera a letto senza aver chiesto e ricevuto da lei la benedizione. Una volta, mentre c’era la capitale a Firenze, il Dazzi si trovava a colloquio col ministro della Pubblica Istruzione, Cesare Correnti. Sentì suonare le cinque a un orologio. L’ultimo tocco vibrava ancora nell’aria, che egli alzatosi frettolosamente e interrompendo a metà un discorso importante, si accomiatò dal ministro, — Perchè se ne va così all’improvviso, professore? — domandò questi — si sente male?
    — No, Eccellenza: ma ho la mamma che a quest’ora vuol vedermi a casa. Se ritardassi, starebbe in pena.... — E se ne andò come una freccia...

    Una persona che lo aveva involontariamente offeso tentava invano di ottenere il suo perdono.
    Andando un giorno nel Cimitero dell’Antella, volle visitar la tomba della madre del Dazzi e colse alcune foglioline verdi, spuntate vicino alla cara salma. Poi le mandò al professore con queste parole: Le ho colte sul sepolcro della sua mamma e glie le mando implorando di nuovo il suo perdono.
    Il Dazzi rispondeva immediatamente:
    — Venga, venga a trovarmi. Sono impaziente di stringerle la mano e di assicurarla che ho tutto dimenticato. Ella ha una testa imprudente, ma un cuore d’angelo.

    Tutti gli amici del Dazzi hanno sperimentato la sua grande bontà e l’infinita delicatezza con cui egli sapeva alleviare le altrui sventure di qualunque genere esse fossero. Il suo cuore, la sua borsa, la sua squisita intel-